Contratto badante convivente

L’assistenza in Italia: alcuni dati sulla rete tra badante e famiglia

Di conseguenza la risposta più diffusa al bisogno di assistenza espresso dalla popolazione anziana è stata quella di rivolgersi al mercato privato dei lavoratori individuali, il cui profilo professionale sta assumendo in questi anni connotati peculiari.

Centrale nei lavori domestici è infatti il ruolo dei lavoratori extracomunitari, la cui presenza in Italia è divenuta notevole durante gli anni ‘90. Alla fine dell’anno 2001, dice il XII° Rapporto sull’immigrazione della Caritas, gli extracomunitari presenti in Italia erano circa 1.600.000, con un’incidenza sulla popolazione residente del 2,8%32. Tra i soggetti stranieri che, secondo il rapporto, appartengono alla forza lavoro (1.360.000, il 3% del totale della forza lavoro), il 38,8% svolge un lavoro nell’ambito dell’assistenza sanitaria e domiciliare (badante convivente, badante ad ore, badante condominio, badante Alzheimer, badante Parkinson).

L’attività di assistenza agli anziani e più in generale quella di servizio alle famiglie si è rivelata essere notevolmente diffusa tra i lavoratori stranieri provenienti da Paesi al di fuori dell’Unione europea, in particolare tra le donne: “nel 1998 approssimativamente il 16% delle donne regolarmente immigrate ed il 4% degli uomini svolgevano servizi presso famiglie”. Essere impiegati come lavoratori presso famiglie significa occuparsi della cura della casa o dei  suoi componenti, in particolare dei bambini (nel caso di babysitter) o degli anziani (nel caso di badanti o colf), ma non sempre esistono confini definiti nella divisione dei compiti di cura tra chi si occupa principalmente della gestione della casa e chi invece si occupa della cura della persone al suo interno.

Assistenza domiciliare anziani Milano

Svolgere un lavoro “domestico”, nel senso di lavoro che si esplica all’interno delle mura domestiche, assume dei connotati peculiari nel momento in cui il lavoratore è straniero. Questo avviene perché il processo migratorio, soprattutto nel caso delle donne, è strettamente legato all’attività lavorativa che si svolge nel Paese d’emigrazione, esiste cioè una correlazione tra genere, etnia, lavoro apparsa fin dagli inizi degli anni ’70, anni in cui sono cominciati i flussi migratori femminili verso l’Europa del sud ed in particolare l’Italia, “proprio per la specificità della domanda di lavoro insoddisfatta dalla manodopera italiana (basso terziario, lavoro domestico)”.

Tipologia e regolazione dei flussi migratori, e strutturazione del mercato del lavoro interno hanno contribuito nel corso degli anni a creare delle “nicchie lavorative” all’interno delle quali si sono inserite, senza troppa difficoltà, le donne che giungevano in Italia per cercare un po’ di fortuna.

Questa nuova configurazione del mercato del lavoro, che tuttora affida quasi esclusivamente agli stranieri lavori a bassa qualifica, e alle donne straniere in particolare attività lavorative nell’ambito domestico, è stata sostenuta in Italia da politiche sociali che nel tempo hanno aumentato invece di diminuire i compiti di cura affidati alle famiglie, in cui sempre più frequentemente entrambi i coniugi lavorano e con fatica riescono ad occuparsi di bambini ed anziani. Il risultato è che oggi la maggior parte del lavoro domestico, soprattutto quello di cura dei membri più deboli della famiglia, viene affidato ad immigrati, perché i lavoratori italiani non svolgono più questo tipo di lavoro, dal momento che è faticoso ed il compenso, in proporzione, basso; a donne immigrate, perché ritenute essere per natura più adatte degli uomini alle attività di care; ad donne immigrate filippine, o peruviane, piuttosto che ghanesi, o marocchine e così via, perché secondo il datore di lavoro un determinato gruppo etnico-nazionale possiederebbe qualità innate che le renderebbe più idoneo degli altri ad occuparsi della casa, dei bambini o degli anziani, al punto che oggi, per esempio, si sente dire comunemente “la filippina” per indicare “la colf”, oppure “la polacca” per indicare “la badante”.