Badanti Braccianti lavorati est

Dal Kosovo col Furgone: il caso delle badanti contagiate

La paura più grande di questo periodo di apparente tranquillità è che possa ristoppiare un picco di casi Covid-19; e di certo i presupposti ci sono tutti: le discoteche affollate, le mascherine trattate come foglietti inutili, le calche intorno ad una cassa per pagare qualcosa – insomma, sembra che non sia successo niente.

Eppure a fianco a questa imposta spensieratezza – e diciamo “imposta” poiché tutti ricordiamo come appena tre mesi fa le televisioni bombardassero le nostre orecchie con morti e stragi, o come fossimo messi in guardia in relazione a quei pochi casi presenti in Italia!

Ecco che i casi di cronaca ci giungono a maggiorare i nostri dubbi e le nostre paure: di cosa parliamo? Ma ovviamente delle badanti! Infatti furono tacciate sin da subito come il “cavallo di Troia” del virus, venendole come portatrici di morte in contatto proprio con al fascia più debole, cioè gli anziani. Ma una cosa è certa: le badanti non furono e non sono nessun “cavallo di Troia”, esistono delle eccezioni, degli accidenti come quello che stiamo per presentare che ci giunge da Treviso.

Proprio le rotte dell’Est sembrano le più insidiose per la diffusione del contagio. I numeri sono preoccupanti in grande parte dell’ex Jugoslavia: Montenegro, Kosovo, Bosnia. Paesi che incrociano molte delle tratte su autobus verso il Mezzogiorno. E proprio il Sud Italia, che si era salvato dal primo contagio, diffuso soprattutto sulle rotte economiche tra Cina, Germania e Nord Italia, rischia di saltare sul ritorno del virus lungo le vie dell’economia povera: braccianti verso le campagne del meridione, in condizioni di minori controlli, poca vigilanza, molta promiscuità e soglia bassa di attenzione su igiene e profilassi. Focolai – come ha dimostrato il caso di Mondragone, nelle ex palazzine Cirio – che si accendono e divampano con velocità e numeri impressionanti.

Le vie dei bus verso Est, da Napoli, in linea diretta, non sono solo quelle per Budapest ma anche per la Polonia. Con la compagnia Eurores si raggiunge Varsavia Kasprowicza partendo alle 19 e arrivando alle 22 del giorno dopo. Circa 200 euro il biglietto. Poco meno – intorno ai 130 euro – il ticket con Transeuropa, che ha due rotte al giorno. Ungheria e Polonia, e i Paesi lungo il percorso, con le fermate intermedie, sono poi crocevia di collegamenti rapidi con Bulgaria e Romania.

Ma gran parte dei braccianti seguono anche altre rotte. Una delle strategie è prendere l’autobus a Sarno o a Mercato San Severino e raggiungere, con tre cambi e 80 euro, Trieste, nel cui aeroporto fanno stazionamento i pullman della Florentia Bus, che portano direttamente a Sofia, dopo 18 ore di viaggio. Sempre da Trieste, ci sono collegamenti su gomma per la Slovenia, la Croazia e la Serbia. Decine le compagnie che curano questi viaggi.

Ma i braccianti, più delle badanti, soprattutto quelli rumeni, si organizzano anche in proprio. Un’auto grande, una station wagon, a volte un furgone e dividendo le spese di benzina, si mettono alla guida con destinazione Italia. Del resto sono comunità folte e aggregare cinque, sei persone a viaggio non è difficile.

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