Badante regista sfruttamento

Badante: regista del proprio sfruttamento

Il lavoro nero è un vero e proprio nemico da abbattere. Più volte abbiamo riportato numerose stime di questo dato pericoloso, che man mano si sta diffondendo, trovando a volte picchi ed a volte abbassamenti.

L’opinione comune tende a pensare che i primi a non voler richiedere una regolare dichiarazione siano le badanti o i badanti stessi, anziché i datori di lavoro. E forse è vero questo dato, ma avviene quando nemmeno la badante sa cosa siano i contributi, o meglio non sa a cosa realmente tendano i contributi.

Presentarli come un ricatto, cioè: se ti dichiaro anziché €100 dovrai guadagnarne €800, credo che chiunque dica di no; il fatto è che purtroppo questo dato non viene specificato, e cioè: quei soldi detratti serviranno a coprire spese assicurative, pensioni, e tredicesime, e una garanzia ore/lavoro.

Tutto ciò non viene detto.

Ma quando la badante decide di informarsi da sé e di non fidarsi del datore, potrebbe attuare questa tecnica che stiamo per vedere.

L’accusa che si muove alle persone che dicono di “lavorare” o di “aver lavorato” a nero, è che questa persona non è mai entrata in casa! E come provare ciò?

La badante può filmare il suo lavoro

Da oggi in poi, la colf in nero potrà incastrare molto più facilmente chi non vuole regolarizzarla. Difatti, con una sentenza rivoluzionaria che la Cassazione ha emesso poche ore fa i giudici hanno ammesso l’utilizzo, da parte della collaboratrice domestica, di registratori e telecamere in casa del proprio datore di lavoro.

Lo scopo, ovviamente, è precostituirsi la prova per un successivo processo nel quale chiedere arretrati, buonuscita e ferie.

Due sole sono le condizioni poste dai giudici supremi per evitare un’incriminazione per violazione della privacy:

  • la collaboratrice domestica deve essere fisicamente presente, mentre la telecamera è in modalità “on”
  • nell’occhio del dispositivo, non devono finire scene di vita privata.

Ben venga, quindi, la possibilità di usare dispositivi di registrazione in casa altrui anche se non autorizzati, ma con queste due semplici cautele. Non importa che nei filmati finiscano i mobili, l’arredo, magari dell’argenteria o l’interno dei guardaroba con la biancheria intima: non c’è alcuna interferenza nella vita privata (reato punito dall’articolo 615 bis del Codice penale) se non si filmano momenti privati, non strettamente attinenti al lavoro della domestica.

La prova video è, dunque, valida e può essere usata nel corso del processo di lavoro. Dall’altro lato e di converso, la Cassazione ha sempre qualificato come reato il comportamento del padrone di casa che spia la colf o la badante lasciando una telecamera nascosta: si tratta di una violazione delle norme dello Statuto dei avoratori che vietano il controllo a distanza dei dipendenti. Ed è stata sempre la Cassazione a spiegare, in passato, che il titolare dell’immobile non può lasciare un registratore o un altro dispositivo video per filmare conviventi o anche ospiti occasionali se lui, in quel momento, si allontana: la sua assenza genera nei terzi la convinzione di non essere visti o sentiti, concedendo loro quel margine di privacy che non si può violare.

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