Badante cinese

La Badante cinese: psicosi del coronavirus

In questi giorni stiamo assistendo ad una vera e propria “psicosi Coronavirus”. Le badanti di nazionalità cinese ci stanno contattando, perché le famiglie presso cui lavorano pensano di essere in pericolo!

AES DOMICILIO combatte da sempre la discriminazione sul lavoro, specialmente questo tipo di discriminazione basata su motivi del tutto irrazionali. Le badanti cinesi sono tantissime, e non significa che siano “portatrici di virus”.

Purtroppo è l’ignoranza che spinge a fare certi insani collegamenti che rasentano il razzismo.

Il mistero di colf e badanti cinesi: dove lavorano, chi le ha assunte, chi le ha mai viste in Italia?  Eppure a spulciare i calcoli definitivi dei «click day» — le tre date fissate per far domanda di «ammissione» nel nostro Paese sul sito del ministero dell’Interno, tra il 31 gennaio e il 3 febbraio scorsi, in base al decreto flussi — si scoprono più di 33 mila collaboratori domestici della Repubblica popolare candidati al permesso di soggiorno. Una cifra anomala: quasi il doppio degli ucraini che prevalentemente svolgono da noi questi mestieri. Se n’è accorto per primo Alessio Menonna, esperto di statistica dell’Istituto Ismu di Milano: «Al secondo click day, il 2 febbraio, riservato a colf e badanti e aperto alle cosiddette “nazionalità non privilegiate”, sono state presentate 65.375 domande su 30 mila ingressi disponibili».

Un grande flusso di lavoratori domestici provenienti dalla cina

Significa che la probabilità di vedere accolta la richiesta è quasi del 50 per cento e che dunque potrebbe «entrare» in Italia una schiera di 15 mila lavoratori domestici cinesi. Più dei cittadini dei Paesi «privilegiati» (quelli con cui Roma ha siglato accordi in materia di immigrazione), per i quali gli accessi sono contingentati: 8.000 egiziani al massimo, 5.200 moldavi, 4.500 albanesi, 4.500 marocchini, e così via fino a soli 80 somali. Tutti in corsa per il «click day» numero uno, il 31 gennaio: 337.814 domande pervenute (relative anche alle altre tipologie di lavoro subordinato, non stagionale). Ne saranno accolte 52.080: una su sette.

I cinesi, in partenza «svantaggiati», alla fine avranno più possibilità di mettersi in regola e sgobbare tranquilli. Negli appartamenti italiani? Difficile. «Di solito non lavorano in casa», spiega Maurizia Sacchetti, sinologa all’Orientale di Napoli. Si guadagna poco, non è un settore in cui si può crescere, non è loro congeniale e non conviene. «Anche se molte famiglie cinesi hanno ora una capacità retributiva superiore», che permette loro di avere un aiuto con le faccende domestiche e l’assistenza agli anziani. Una quota (piccola) di queste domande fotografa una novità: «Alcuni cinesi “bene” vogliono che i propri figli non perdano il contatto con la lingua madre», conferma l’ingegnere Marco Wong, presiedente onorario di «Associna», che rappresenta le seconde generazioni in Italia. La gran parte, però, ha solo cercato una via per avere i documenti in regola nella strettoia della burocrazia.

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