La Badante, il Datore di Lavoro ed il Sostituto d’imposta
Questo è un tema caldo dei nostri giorni, soprattutto perché va a toccare una significativa porzione di problemi che possono sorgere al momento dell’assunzione, ovvero: assunta una badante con un regolare contratto di lavoro; provveduto a versare i contributi previdenziali all’Inps nel rispetto delle relative scadenze; si scopre, tuttavia, che la badante non ha effettuato la dichiarazione dei redditi e si vuol sapere cosa rischia lei e cosa rischi tu, datore di lavoro.
In linea generale, nei rapporti di lavoro subordinato, il lavoratore non deve provvedere autonomamente al pagamento delle tasse.
Infatti, a tale adempimento provvede il datore di lavoro in qualità di sostituto d’imposta. Vi sono, tuttavia, delle fattispecie escluse come, ad esempio, il lavoro domestico. In tale rapporto di lavoro, infatti, il lavoratore deve pagare da solo l’Irpef. Ma cosa succede se la badante non paga le tasse?
Cosa succede se la badante non paga le tasse
Al datore di lavoro non può essere applicata alcuna sanzione se egli ha correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni.
Il mancato pagamento delle tasse da parte delle badanti è un problema che può avere gravi ripercussioni legali, finanziarie e personali. Le badanti, come qualsiasi altro lavoratore, hanno l’obbligo di adempiere ai propri doveri fiscali.
Il mancato pagamento delle tasse costituisce un’infrazione della legge fiscale e può portare a sanzioni severe. Tra le principali conseguenze legali vi sono:
- Multe e sanzioni: Le badanti che non dichiarano correttamente i propri redditi e non pagano le tasse dovute possono essere soggette a multe e sanzioni amministrative. Le autorità fiscali hanno il diritto di applicare penalità che possono variare a seconda della gravità dell’infrazione e della durata del mancato pagamento.
- Accertamenti fiscali: Le badanti che evadono le tasse possono essere oggetto di accertamenti fiscali. Le autorità possono richiedere documentazione dettagliata sui redditi e sulle spese sostenute, e un eventuale riscontro di irregolarità può portare a sanzioni aggiuntive.
- Procedimenti penali: Nei casi più gravi, l’evasione fiscale può sfociare in procedimenti penali. Questo potrebbe comportare non solo sanzioni pecuniarie ma anche il rischio di pene detentive, soprattutto in situazioni di frode fiscale.
Le implicazioni finanziarie del mancato pagamento delle tasse possono essere considerevoli e includono:
- Interessi di mora: Oltre alle sanzioni, le somme non versate sono soggette all’applicazione di interessi di mora, che aumentano l’importo complessivo dovuto. Questo può aggravare ulteriormente la situazione finanziaria della badante.
- Confisca dei beni: In casi estremi, le autorità fiscali hanno il potere di procedere alla confisca dei beni per recuperare le tasse non pagate. Questo può includere il pignoramento di conti bancari, stipendi e altre risorse finanziarie.
- Difficoltà di accesso al credito: Una cattiva storia fiscale può influire negativamente sulla possibilità di accedere al credito. Le badanti che non pagano le tasse potrebbero trovare difficile ottenere prestiti, mutui o altre forme di finanziamento in futuro.
Non pagare le tasse può anche influenzare negativamente la carriera professionale della badante:
- Reputazione compromessa: La reputazione di una badante è cruciale nel suo settore. La notizia del mancato pagamento delle tasse può danneggiare la fiducia che i datori di lavoro attuali e potenziali ripongono nella badante, riducendo le opportunità di impiego.
- Risvolti contrattuali: In alcuni casi, i datori di lavoro possono decidere di risolvere il contratto con una badante che non adempie ai propri obblighi fiscali, preferendo assumere persone che dimostrano maggiore affidabilità e conformità alle leggi.
Per evitare le conseguenze negative del mancato pagamento delle tasse, le badanti dovrebbero:
- Tenere una contabilità accurata: Mantenere una documentazione precisa dei redditi e delle spese può facilitare la corretta dichiarazione fiscale.
- Consultare un professionista fiscale: Rivolgersi a un commercialista o a un consulente fiscale può aiutare a comprendere meglio gli obblighi fiscali e a evitare errori nella dichiarazione dei redditi.
- Rispettare le scadenze: Pagare le tasse entro le scadenze stabilite per evitare sanzioni e interessi di mora.
La badante, invece, rischia di subire delle conseguenze sanzionatorie molto pesanti in caso di omessa dichiarazione dei redditi. Se lo Stato si accorge che esiste un regolare contratto di lavoro con una badante, per il quale vengono regolarmente versati i contributi, ma la collaboratrice domestica non ha versato l’Irpef né ha presentato la dichiarazione dei redditi, è agevole verificare la presenza di un’ipotesi di omessa dichiarazione dei redditi e, dunque, di evasione fiscale.
In questo caso, il datore di lavoro non rischia nulla. Se quest’ultimo ha, infatti, correttamente adempiuto al suo obbligo di versare i contributi previdenziali e di remunerare la collaboratrice in linea con le previsioni della legge e del contratto collettivo, non gli potrà essere rimproverato alcunché. Se la badante, invece, ha omesso di dichiarare i propri redditi ed era obbligata a farlo, può subire pesanti conseguenze:
- Nell’ipotesi di omessa dichiarazione dei redditi, la badante può subire una sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra un minimo del 120% ed un massimo del 240% dell’importo che avrebbe dovuto pagare a titolo di tasse. L’imposta minima applicabile è, in ogni caso, di euro 250.
- Se, invece, la badante era obbligata a presentare la dichiarazione dei redditi ma non c’erano imposte da pagare la sanzione va dai 250 ai 1.000 euro.
La situazione della badante può complicarsi ulteriormente se l’omissione relativa alla presentazione della dichiarazione dei redditi riguarda più annualità consecutive. In caso di violazioni plurime, infatti, opera l’aumento dalla metà al triplo della sanzione secondo quanto stabilito dalla legge e confermato dalla giurisprudenza della Cassazione.
La badante non paga le tasse: cosa fare?
Quello del pagamento della tasse da parte delle badanti è un vero e proprio punto nevralgico del sistema fiscale italiano, infatti la lente di ingrandimento del governo si posa sul lavoro domestico in relazione alle stime di evasione fiscale che riguardano l’Irpef.
Nelle analisi del MEF il sistema di retribuzione di colf e badanti, nella sua impostazione attuale, è esposto a un forte rischio di evasione. La possibilità per il lavoratore di scegliere quante ore lavorare, e il pagamento ex post delle imposte rende i domestici simili ai lavoratori autonomi.
Tuttavia, sia da un punto di vista contributivo che fiscale, i domestici sono considerati lavoratori dipendenti. In particolare, sono tenuti a presentare la dichiarazione dei redditi e pagare l’IRPEF qualora il loro reddito complessivo sia superiore a 8.150 euro. Tale previsione incentiva i domestici a lavorare un numero di ore tale da percepire un reddito complessivo immediatamente al di sotto della soglia degli 8.000 euro. Ma il dubbio è che i lavoratori domestici sotto la soglia degli 8.000 euro sia “eccessivo”, e quindi non veritiero.
Una possibile soluzione per arginare il problema? Fare in modo che siano le famiglie a versare le imposte per colf e badanti, come accade per le altre categorie di lavoratori dipendente.
Ma la famiglia diventa sostituo d’imposta?
Attualmente la famiglia non agisce come sostituto di imposta: quando paga il lavoratore non opera nessuna ritenuta di acconto e non rilascia la certificazione unica. Paga solo i contributi, che nel caso dei domestici assunti a per 40 ore a settimana possono arrivare a 180 euro al mese, o a un massimo di 250 euro per chi è convivente.
L’obbligo di versare le imposte, presentando la dichiarazione dei redditi l’anno successivo, spetta al lavoratore, che percepisce lo stipendio netto. La descrizione dettagliata del sistema nella NaDEF si intitola “Tassazione e modifiche dei comportamenti: il caso dei domestici in Italia”. E la modifica potrebbe essere proprio l’introduzione del nuovo ruolo di sostituto di imposta per le famiglie che si affidano a colf e badanti per la cura della casa, con l’incarico assumere il controllo delle relazioni con l’amministrazione finanziaria e di procedere al versamento delle imposte dovute dal lavoratore.
Tuttavia, come ha sottolineato ASSINDATCOLF
“Sarebbe intollerabile fare ‘cassa’ a spese delle famiglie che già oggi, in mancanza di adeguate leve fiscali e di un welfare efficiente, sono costrette a farsi carico di tutto il peso dell’assistenza, anche e soprattutto economico. Un onere destinato a crescere qualora il datore di lavoro domestico fosse reso sostituto di imposta poiché, oltre al versamento contributivo e alla retribuzione netta concordata con il lavoratore, la famiglia dovrebbe farsi carico di versare anche l’Irpef per il proprio dipendente”
Un caso particolare in cui la famiglia diventa sostituto d’imposta
Un caso particolare è quello in cui il datore di lavoro non è una persona fisica cioè un singolo individuo, ma delle cosiddette ‘persone giuridiche’ cioè enti in cui possono confluire più persone ma che non vengono identificate individualmente, bensì si identificano nell’ente di appartenenza e questo ente agisce, secondo la legge, quasi in modo autonomo – facciamo l’esempio di una badante assunta da un prete alle spese della Chiesa, cioè riferendosi alla Chiesa in quanto ‘persona giuridica’.
In quest’ultimo caso – per restare nell’esempio – la “condicio sine qua non” affinché si possa parlare di applicazione della disciplina sul rapporto di lavoro domestico resta quella che l’attività venga svolta senza fini di lucro. Si parla in questo caso della c.d. ‘comunità stabile’ o ‘convivenza familiarmente strutturata’, ad esempio la realtà dei conventi.
In questo caso il datore di lavoro domestico ‘persona giuridica’ viene investito del ruolo di sostituto di imposta ed in quanto tale è obbligato a trattenere in busta paga l’Irpef e a versarla all’Erario per conto del dipendente. Nessuna differenza, invece, per quanto riguarda l’aspetto contributivo: si continuano a versare i contributi Inps obbligatori per il lavoro domestico, ma, nonostante sussista la condizione di sostituto di imposta, non si è comunque tenuti alla disciplina del Durc (cioè: Documento Unico di Regolarità).
Il calcolo dell’imposta
Per il calcolo dell’imposta lorda si deve far riferimento alle differenti aliquote previste per i diversi scaglioni di reddito.
- Fino ad € 15.000 l’aliquota è del 23%
- Da € 15.001,00 a € 28.000,00 l’aliquota è del 27%
e via dicendo (Clicca qui per la tabella completa è stata riportata su altri articoli del sito).
Per il calcolo delle detrazioni da lavoro svolto bisogna specificare se il contratto di lavoro è a tempo determinato oppure a tempo indeterminato.
- Se il contratto è a tempo determinato la detrazione applicabile (almeno per il 2010) è pari ad € 1338,00;
- Se il contratto è a tempo indeterminato, prima bisogna individuare il quoziente che moltiplicato per un coefficiente fisso di 502 e per il rapporto tra giorni di lavoro dipendente effettuati e giorni lavorativi annui permetterà di determinare la somma da aggiungere e/o sottrarre all’importo base di € 1.338.00.
Per il calcolo delle detrazioni per coniuge a carico (non dovrà percepire un reddito annuo superiore ad € 2.840,51) bisognerà applicare una formula che varia a seconda del reddito dichiarato.
- Per redditi fino ad € 15.000,00 la formula sarà 800 – (110 x reddito netto percepito/15.000)
- Per redditi compresi tra € 15.001,00 ed € 40.000 l'importo sarà pari ad € 690,00
- Per redditi compresi tra € 40.001,00 ed € 80.000,00 la formula sarà 690 – [(80.000 -Reddito percepito)/40.000)]
La detrazione invece non spetta per redditi superiori ad € 80.000,00.
Per il calcolo della detrazione dei figli l’importo varia in base al numero dei figli acarico e l’età degli stessi. In linea di massima gli importi variano da un massimo di €800,00 ad un minimo pari a 0 per redditi maggiori ad € 95.000,00. Dal 2007 poi è prevista una detrazione aggiuntiva di € 1.200,00 per lavoratori con almeno 4 figli a carico.
Alcune domande
Poiché il datore di lavoro non è sostituto d’imposta, solitamente il lavoratore presenta il MODELLO UNICO (= CU [vedi più giù]), entro le date di scadenza fissate dall’Agenzia delle Entrate (di anno in anno). Solitamente la scadenza viene fissata per fine giugno, nel caso il collaboratore presenti la dichiarazione in forma cartacea presso gli uffici postali, oppure verso la fine di settembre, nel caso di invio dell’UNICO per via telematica.
In alternativa si può presentare il modello 730 mediante CAF o professionista abilitato, barrando, nel riquadro “dati del sostituto d’imposta che effettuerà il conguaglio”, la casella “mod. 730 dipendenti senza sostituto”. Queste scadenze possono subire variazioni o proroghe quindi consigliamo di consultare il sito dell’Agenzia delle Entrate.
Di conseguenza i quesiti che si pongono molti collaboratori domestici, sono:
- Dovrò dichiarare i redditi percepiti?
- Potrò fare il modello 730 oppure sarò obbligato a compilare il modello Unico?
- Quanto dovrò pagare?
Bisogna dichiarare i redditi percepiti da lavoro domestico?
È necessario dichiarare i redditi da lavoro domestico percepiti, soltanto se il reddito percepito al netto dei contributi INPS supera la soglia di € 8.000,00. Per tutti gli importi inferiori si è esentati dal presentare la dichiarazione dei redditi.
Potrò fare il modello 730 oppure sarò obbligato a presentare solo il Modello Unico Persone Fisiche?
È possibile presentare il modello 730 solo nel caso in cui venga presentato il modello 730 congiunto ovvero elaborato insieme al modello 730 del coniuge. In caso contrario bisognerà presentare il Modello Unico Persone Fisiche.
Quanto dovrò pagare?
Se si decide di presentare la dichiarazione dei Redditi l’imposta da pagare sarà data dalla differenza tra l'imposta lorda e le detrazioni applicate per lavoro dipendente, per coniuge e per figli a carico.
La CU (Certificazione Unica)
La Cu (ex cud) per colf e badanti (di cui un fac-simile è riportato sopra), non ha un formato standard definito per legge.
Solitamente comunque è composto di due parti:
- nella prima, in cui vengono indicati i dati anagrafici e il codice fiscale di datore e collaboratore, il periodo di riferimento della Cu e il numero dei giorni di detrazione (che comprendono anche i giorni non lavorativi salvo quelli dove il rapporto di lavoro è stato sospeso per aspettativa o quello antecedente l’assunzione o successivo al licenziamento.
- nella seconda, in cui il datore di lavoro domestico attesta di aver corrisposto alla colf o badante i compensi annuali riguardanti:
1. la retribuzione lorda comprensiva di 13esima. Si tratta della somma delle retribuzioni lorde dei cedolini dell’anno (indicato nel cedolino in Webcolf con la voce “Importo lordo”), ai quali vanno però sottratti eventuali anticipi di Tfr in quanto sono indicati in una casella distinta.
2. I contributi Inps a carico collaboratore. Viene imputato a tale voce l’importo dei soli contributi a carico del collaboratore versati tramite i mav trimestrali. Se come avviene di norma, il datore li trattiene in busta paga, nella Cu viene riportato il risultato derivante della somma delle voci “Contr. carico coll” dei cedolini che vannoda gennaio a dicembre.
3. I contributi Cassa Colf a carico del collaboratore. Sono dati dalla somma dell’importo indicato alla voce “Cassa Colf” nei cedolini dell’anno in Webcolf (sempre se trattenuti). Se non viene trattenuto si conteggia in base alle ore contributive dei 4 trimestri.
4. L’imponibile fiscale (netto). Si tratta della differenza tra paga lorda specificata al punto 1 e contributi Inps a carico collaboratore specificata al punto 2. Non si tratta quindi della somma dei netti dei cedolini elaborati perché la cassa colf non incidesulla diminuzione dell’imponibile fiscale, al contrario di ciò che accade nel cedolinodove: paga lorda – contributi Inps e Cas.sa colf = paga netta. Questo è legato al fatto che i contributi Cas.sa colf non hanno scopo esclusivamente assistenziale/sanitario ma anche contrattuale, interpretazione questa confermata dalla stessa Cas.sa colf
5. TFR corrisposto (anche tramite anticipi). Si tratta della somma del tfr corrisposto nell’anno. In questo caso Webcolf inserisce l’importo:
– del tfr liquidato in caso di cessazione;
– del tfr liquidato mensilmente oppure occasionalmente, con codice “liquida tfr maturato” oppure “anticipo su tfr”.
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Articolo aggiornato al 19/06/2024